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venerdì 1 giugno 2012


 «Tre volte all’alba»: ultima perla del cortometraggio letterario



«Non ha la forma del romanzo e non si tratta neanche di racconti. Mi piace che non abbia un nome, perché se fai cose che non hanno nomi, sei vicino a qualcosa che vale veramente.»
Di questo è convinto Alessandro Baricco, riferendosi all’ultimo libro che ha pubblicato, dal titolo Tre volte all’alba.
In effetti, esso non ha la forma di un romanzo, perché è diviso in tre parti che in nulla assomigliano ai capitoli cui un lettore è abituato. Non si tratta, però, neanche di racconti, dal momento che i due protagonisti sono sempre gli stessi, sebbene proiettati in dimensioni spaziotemporali ai limiti dell’assurdo: la prima volta, l’uomo e la donna in questione hanno la stessa età; la seconda volta lei è un’adolescente e lui una persona più che matura; la terza volta lui è un bambino e lei è prossima alla pensione.
Quel che c’è di più incredibile, per citare il quarto di copertina del libro, è che i due «si incontreranno per tre volte, ma ogni volta sarà l’unica, e la prima, e l’ultima», e che ciascuna delle tre sezioni è ambientata in un hotel, al sorgere del sole. Se si esclude questa straordinaria coincidenza, le storie si direbbero diversissime l’una dall’altra e del tutto slegate, sebbene risulti evidente che l’identità dei personaggi non cambia mai. Tuttavia, Baricco è un mago nel genere, cosicché le connessioni sono sottilissime, ma più che presenti.
In ciascun episodio, infatti, c’è di mezzo il destino, fabbricato con mano paziente da ogni uomo, o forse eluso giorno dopo giorno dalla paura di soccombere a ciò che è ineluttabile. C’è di mezzo la vita e la sua forza devastante, che a tratti travolge con una carezza in riva al mare, a tratti con un incendio in piena notte. C’è di mezzo la libertà dell’uomo, posto ogni giorno di fronte ad un bivio fra la disfatta e la rinascita. C’è di mezzo, infine, la letteratura. Quella raffinata, ma che appare in punta di piedi: la scrittura di Baricco è una perenne metafora di vetro, che disegna il profilo di esistenze sempre ai limiti del surreale con un’esattezza, una passione ed una delicatezza più da artigiano che da “semplice” scrittore.
Tre volte all’alba, pertanto, non ha nome: manca letteralmente di definizione, è vero. Eppure «vale veramente», per citare l’autore stesso, al punto che, in sole cento pagine di narrazione, c’è tanta di quella trasparente verità da lasciare incantati per giorni interi anche i lettori più scettici, più severi, o più esigenti. Sfogliare per credere.
 Eva Mascolino

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