To Rome with Love
«Ogni volta, quando un mio film ha successo, mi
chiedo: come ho fatto a fregarli ancora?» W. Allen
Woody
Allen si ripresenta con un film che divide gli esperti, ma in Italia delude la
maggior parte dei critici, forse per le aspettative createsi, nella speranza di
vedere un altro film “metropolitano” come il precedente e molto apprezzato: Midnight in Paris. Purtroppo, ciò che
separa la critica estera da quella nostrana è la prospettiva. È l’immagine di
una Roma quasi da film felliniano, ma rappresentata malamente (poteva benissimo
essere riprodotta in qualche studio di regia hollywoodiano); la preferenza per
i vicoli tortuosi non avvicina l’osservatore alla realtà odierna romana e ne
tradisce i propositi di essere veritiero: una Roma sognata da Allen, con
atmosfere anni '50, che non ha nulla a che fare con la caotica metropoli di
oggi, riempiendola, peraltro tristemente, di stereotipati luoghi comuni. Il
film si articola sull’intreccio di quattro ministorie, una più deludente
dell’altra, che non mostrano nulla di nuovo, storie trite e scontate, dove gli
accenni di assurdità non sorprendono affatto. Forse solo la storia di Leopoldo,
divenuto famoso a sua insaputa, poteva avere una qualche valenza artistica di
critica alla mondanità: gestita in malo modo, a partire dall’attore, Benigni,
che di romano ha ben poco. Unica nota positiva nel film, che vede il ritorno
sulla scena di Allen stesso e la scelta del nuovo doppiatore dopo la morte di
Lionello: Leo Gullotta (amico stesso del grande cabarettista), il quale riesce
ad emularlo e a dar nuovamente voce ad Allen, voce sprecata, purtroppo, in un
omaggio non gradito a una Roma, vista come da dietro una cartolina ingiallita
dal tempo.
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